DEMOCRAZIA, LEGALITA', PROGRESSO

domenica 19 maggio 2013

Quale futuro? Quale Partito? [PARTE II]


Questa nota vuole essere la continuazione e conclusione della precedente: http://rcgtassone.blogspot.it/2013/04/riflessioni-sul-momento-politico-i-parte.html


Un clima pesante è calato sul paese; la capacità di ricostruire e rinnovare questo sistema politico non è più solo una necessità inerente alla salvezza di questo partito, ma è ormai una questione di tenuta democratica, istituzionale e sociale del paese. Dopo avere demolito, ammesso che si riesca a demolire, che cosa si può fare? Che cosa fare, dunque, una volta sgomberate le macerie? Quale deve essere l’approdo di questo percorso? Che tipologia di partito abbiamo in mente?

Infatti, deve essere chiaro che il problema NON si limita all’inadeguatezza di una classe dirigente che permane da un ventennio, del tutto incapace di interpretare la realtà degli anni 2000. Il problema è che tale classe dirigente è il prodotto di un sistema di partito che, fino dal livello fondamentale, l’ha difesa ed alimentata, spesso senza esercitare quel controllo democratico necessario per evitare le degenerazioni; è su questo terreno che essa ha prosperato. La sfida, quindi, non è solo di sostituire una classe dirigente con un’altra, che magari di questa è figlia e si atteggerà nello stesso modo, così che cambi tutto per non cambiare nulla, ma di ripensare il concetto stesso di partito, la sua forma, la sua concezione, la sua struttura fin dai livelli più fondamentali.

E’ su questo, credo, che molti abbiano idee differenti ed occorra quindi molta chiarezza. Cercherò di tracciare un breve identikit del mio partito ideale, sperando che possa costituire uno spunto per costruire una proposta complessiva di ricostruzione dello stesso, attraverso la quale comprendere chi realmente crede in un partito diverso, oppure chi, sotto le insegne dell’innovazione, cela una reazione di conservatorismo politico.

·        Circoli, tessere e segretari. La nostra ex-segretaria provinciale, il giorno successivo alle elezioni di febbraio, ha dichiarato che, con le nostre modalità comunicative, siamo “fuori dalla Storia”. È una delle poche cose su cui sono d’accordo con lei. I problemi del nostro partito nascono “dal basso”, dalla difficoltà di rendere funzionale una struttura locale, costruita su un modello novecentesco di organizzazione del consenso, del tutto inadeguato per interpretare la realtà contemporanea. I circoli, intesi come “sedi fisiche”, sono sempre meno frequentati e, nonostante lo sforzo mirabile dei “militanti”, diventano sempre più spesso delle stanze vuote, sempre più difficili da tenere aperte sotto il profilo economico e logistico. I volantinaggi sono poco incisivi, quando si tratta di voto d’opinione, laddove prevalgono altri canali comunicativi (la TV, il Web, ecc.) che non siamo mai stati in grado di utilizzare in modo efficace. Le nostre direzioni sono stanchi rituali in cui una serie di delegati, eletti diversi anni prima, pronunciano uno dopo l’altra frasi fatte in cui non dicono nulla e gli interventi dei non membri, che in genere sono coloro che si sono affacciati più di recente alla vita del partito, vengono relegati in fondo alla lista degli interventi e, mentre a questi ultimi viene segnato il tempo anche prima della scadenza, ai “notabili” è accordato tutto il tempo che richiedono. Le tessere non sono più considerate un marchio d’orgoglio, ma, ahimè, anche a causa del discredito che investe oggi le forze politiche tutte, una sorta di “marchio d’infamia”: la gente si rifiuta di tesserarsi e gli iscritti sono sempre di meno, così che viene meno il controllo democratico, al punto che il partito passa in mano ai “signori delle tessere” che non rappresentano più altri che sé stessi. Purtroppo anche i Segretari, spesso, faticano a porsi come i garanti del funzionamento del partito su un territorio; frequentemente accade che non vengano selezionati in base al merito, ma in base agli accordi fra gruppi politici e non è raro che la loro posizione diventi uno strumento per acquisire visibilità e potere, venendo però difesi strenuamente da una parte dei loro iscritti in quanto sono, comunque, “il segretario”.
Ahimè, credo che sia ora di affrontare la realtà, ossia che questi circoli, così concepiti, oggi, non rappresentano più nessuno. Un circolo del PD con poche decine di iscritti, su un territorio magari di decine di migliaia di persone, sarà conosciuto, da quanti? Il 10% della popolazione? Quanti sapranno chi sono i dirigenti di quel Circolo? Quando i cittadini votano, lo fanno sulla base dell’azione del partito sul territorio, o sulla base di quello che sentono ai telegiornali? I Circoli, in molti casi, sono ancora meno rappresentativi degli eletti, che, a loro volta, sono già per lo più conosciuti.

E’ quindi chiaro che quella che chiamiamo “base” difficilmente più essere, senza un’adeguata riforma della struttura del partito, la soluzione del problema. Ci si trova in un sistema che induce ad odiare il proprio compagno di partito, il proprio dirigente, piuttosto che l’avversario dell’altro partito. Spesso (esperienza personale) le riunioni di partito degenerano in un tripudio di insulti da parte dei dirigenti a singoli iscritti o eletti.

Ed allora, come possiamo rifondare il partito per superare queste criticità? Io ho alcune idee che provo a buttare lì. Ritengo che il tesseramento, come lo conosciamo, debba sparire, sostituito da un modello di adesione molto più leggero, come un registro degli aderenti cui ci si può iscrivere con grande facilità (anche sul web). La tessera “pesante” può rimanere per coloro che vogliono assumere delle cariche dirigenziali o istituzionali, con delle regola stringenti di accesso alle stesse. Le sedi fisiche non dovrebbero più essere necessarie, dovrebbero essere ridotte di numero e, quelle che restano, essere trasformate in qualcosa di molto diverso, ad esempio dei circoli ricreativi, culturali o sportivi. Deve rimanere un livello di rappresentanza territoriale con una configurazione, però, assi più snella. Si può immaginare di convocare assemblee pubbliche con scadenze regolari, in luoghi significativi del territorio, chiedendo ai partecipanti un piccolo contributo per l’affitto dei locali. Per quanto riguarda le decisioni politiche delicate, si potrebbe istituire una sorta di direttivo con un coordinatore, eletto però non ogni 3 anni, ma per periodi assai più brevi (ad esempio 6 mesi/1 anno), tramite il voto dell’assemblea degli aderenti, anche sul web (magari implementando un servizio di assistenza a beneficio di chi non è in grado di usarlo).

Importanza delle Persone. L’altro aspetto che, nel contesto sopranzi descritto, risulta critico è il ruolo delle “persone” all’interno del partito. Il partito non è un’entità astratta, sia pure una “comunità” come molti amano chiamarla, che vive di vita propria a prescindere da coloro che lo compongono, ma è, appunto una rete di persone. Nella concezione tradizionale, il “partito” è più importante delle persone e deve prevalere su di esse, facendo finta di dimenticarsi però, che il partito è diretto da persone e, quindi, mettere davanti a tutto il “partito”, significa solo mettere davanti a tutto le persone che in quel momento (e a quel punto, probabilmente, per sempre) sono alla guida dello stesso. E’ chiaro che qualcosa non funziona!

In questo contesto, è evidente che finisce per far carriera il “funzionario di partito”, colui che ha costruito la propria carriera occupando piccole o grandi posizioni dirigenziali nel partito, all’ombra del segretario o del capo di turno. Se per “politici di professione” si intendono queste figure, in grado di rappresentare nessuno, allora ha ragione l’opinione pubblica a chiedere di mettere alla gogna i “politici di professione”. Ben diverso è il profilo del politico che ha fatto carriera nelle amministrazioni, cimentandosi, via via, in sfide elettorali più complesse, capace di interpretare la realtà che lo circonda e, soprattutto, di incanalare consenso. Ed è proprio da queste persone che bisogna ripartire. Dobbiamo selezionare la nostra classe dirigente in base alla capacità e competenza nell’amministrare la cosa pubblica ed alla capacità di suscitare consenso nell’elettorato. Ripartiamo dalle “persone” del partito invece che dal partito in astratto. Queste sono alcune delle ragioni che mi hanno indotto a scegliere di sostenere Matto Renzi alle ultime Primarie, una delle uniche personalità in grado di poterci garantire un futuro.

Disciplina\ragione di partito. Su questo credo di avere già detto molto. La mia visione è quella di un partito plurale, in cui coesistono sensibilità diverse ed il dissenso è considerato una ricchezza, anziché il marchio dell’infamia. Il “Centralismo Democratico” in tutte le sue forme deve tramontare, così come gli “ordini di scuderia” e simili amenità.
Dobbiamo passare dalla “disciplina di partito” alla “disciplina della ragione”, in cui il singolo iscritto od eletto non opere le scelte in base ad un’astratta “appartenenza”, ma sulla base dell’etica, del buon senso e soprattutto di quella straordinaria e, forse, unica grande qualità della nostra specie: la ragione umana.

Può sembrare ingenuo o retorico, ma credo che il ritorno all’uso della ragione sarebbe oggi la più grande rivoluzione della politica. Quando un dirigente avanza una proposta deve sforzarsi di comprendere tutte le implicazioni e le conseguenze di quella proposta e deve portarla avanti secondo un percorso logico e di condivisione che possa condurre ad un risultato apprezzabile dalla maggior parte delle persone che rappresenta. E se qualcuno non se la sente di condividere quella scelta, se la decisione è maturata in modo razionale, può dissentire cercando un modo razionale per non provocare troppo danno, senza venire additato come “traditore” ed espulso!

Congresso. In tutto questo delirio il congresso si approssima. Non sfugge all’accortezza di nessuno, che esso costituirà l’ultima grande chance per salvare questo partito. Ebbene, l’unico modo per garantire che esso possa sopravvivere è assicurarsi che il congresso abbia le seguenti caratteristiche:
-       Aperto e contendibile: Le Tessere devono semplicemente sparire, non devono avere alcun peso nella competizione. Devono poter votare TUTTI e così deve essere a TUTTI I LIVELLI: Nazionale, Regionale, Federale e, soprattutto, di Circolo. Non dovrà essere imposto alcun tipo di regola, di limitazione, di passaggio burocratico per la partecipazione (come accaduto alle primarie, recando, a mio avviso, il germe della nostra sconfitta).
-       Filtro: Occorre trovare un modo per fare sì che la vecchia nomenklatura non possa più presentarsi in nessuna forma, altrimenti non vi sarà vero rinnovamento.
Se il Congresso avrà queste caratteristiche, si potrà ancora salvare il CS, altrimenti, sarà la fine…


R. C. G. Tassone
Capogruppo PD Circ. 8
Tesoriere Federale dei Giovani Democratici di Torino

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