“Gli iscritti e le iscritte al Partito Democratico
hanno inoltre il dovere di favorire l’ampliamento delle adesioni al partito e
della partecipazione ai momenti aperti a tutti gli elettori”.
Statuto
Nazionale del Partito Democratico, Comma 7, Lettera c.
Cari amici, care amiche,
con la celebrazione della prima
assemblea provinciale, si può considerare conclusa la fase congressuale del PD
di Torino, della Federazione Provinciale e dei suoi circoli. Durante la
suddetta fase, ho accuratamente evitato di intervenire pubblicamente. L’ho
fatto per senso di responsabilità, principalmente, essendo che i lavori
congressuali si sono svolti in un clima quasi da “guerra fredda” che certo non
incentivava (per non usare termini più incisivi) il desiderio di confrontarsi
ed esternare la propria opinione, direi proprio il contrario. Il motivo per cui
tale clima si è determinato è che non tutte le parti in causa hanno mostrato lo
stesso senso di responsabilità del sottoscritto. Ebbene, ora che la tempesta è
passata, ci terrei ad offrire anch’io la mia visione su quanto accaduto e
proporre qualche considerazione.
Partirò proprio dall’uso delle
parole. Purtroppo, la mia esperienza mi ha insegnato che nel nostro partito le
parole vengono impiegate con una certa leggerezza e, soprattutto, spesso senza
riguardo dei fondamentali della civiltà umana e politica. Spesso il confronto
politico si riduce alle urla, alle interruzioni reciproche ed agli insulti, il
tutto condito con la pesantezza del turpiloquio (espressioni come “mentecatto”,
“spastico”, “scemo”, “cretino” o peggio, sono purtroppo all’ordine del giorno)
e nessuno sente mai il bisogno di chiedere scusa. Mi domando se tutto ciò è
compatibile con la denominazione di Partito DEMOCRATICO. Ed il clima in cui si
è svolto questo congresso non può certo avere prescisso dalla pesantezza delle espressioni
utilizzate da esponenti delle mozioni poi sconfitte, quali “Il golpe in baffi
di sego”, “doping immorale”, “deliberatamente
ingannato”, “si difenda da quella parte di sé che è talmente accecata dalla bramosia di potere da
non farsi scrupoli nel calpestare regole, etica e rispetto della
democrazia, distruggendo il PD e
la sua immagine già incerta, pur di raggiungere il proprio risultato”, “dittatura
di una falsa-maggioranza?”. Mi chiedo come queste persone, che sono quelle del
“partito prima di tutto”, “bisogna difendere l’immagine del partito sempre”,
“chi perde deve sostenere lealmente chi vince” giustifichino atteggiamenti di
questo tipo. Ripeto, le parole sono pietre ed occorrerebbe riflettere
seriamente sul senso di responsabilità individuale e su quali devono essere i
limiti della civiltà umana e politica.
Ora, il tema sul quale sono
giunte le polemiche più feroci è quella dei tesseramenti, cosiddetti, “last minute”,
sui quali abbiamo dovuto tutti sopportare attacchi e frecciatine più o meno
velate. Le cose che vorrei sommessamente osservare solo le seguenti
- Che sotto congresso ci sia un forte incremento del tesseramento è fisiologico ed è sempre accaduto in tutti i congressi. I “pacchetti di tessere” (qualunque cosa si intenda con tale termine) vi sono sempre stati ed, in passato, chi oggi sbraita ne ha usufruito pesantemente a suo vantaggio.
- Lo Statuto del Partito Democratico recita “gli iscritti e le iscritte al Partito Democratico hanno inoltre il dovere di favorire l’ampliamento delle adesioni al partito e della partecipazione ai momenti aperti a tutti gli elettori”.
- TUTTI i candidati hanno, giustamente, cercato di ampliare la loro base di consenso in corrispondenza dei vari congressi.
Sulla base di tutto ciò, mi
domando davvero di che cosa stiamo parlando. La strumentalità di certe accuse
dovrebbe essere lampante.
Il problema vero è il substrato
politico-culturale di chi, strumentalmente, lanciato determinate accuse.
Dovrebbe essere evidente come,
una corposa frazione di partito e di gruppo dirigente disprezza,
strumentalmente, le nuove adesioni, perché crede in un partito come una
comunità ristretta, una sorta di tempio dell’ortodossia, dove tutti devono
pensarla allo stesso modo e devono idolatrare i propria dirigenti, a
prescindere dal merito. E’ uno schema che deriva dai partiti antenati del PD
del ‘900 e che poteva forse funzionare per un partito condannato, inevitabilmente,
ad essere sempre minoranza e a non governare mai. Questi difensori
dell’ortodossia credono che il ruolo di un partito sia quello di riunirsi in
circoli ristretti a discutere di massimi sistemi slegati dalla realtà della
società, a distribuire volantini che, ahimè, la maggior parte delle persone
getterà nella carta straccia (o peggio in terra) l’isolato a fianco, di
custodire la verità assoluta, mentre tutto il resto del mondo (e
dell’elettorato) non capisce la bontà dell’azione di un gruppo ristretto di
dirigenti “eletti”.
Siamo proprio certi che un
partito così concepito sia ancora in grado di svolgere la sua funzione di corpo
intermedio tra i cittadini e le istituzioni?
Non ci viene forse il dubbio che
la gente si iscrive sotto congresso, perché è convinta (a ragione) che sia
l’unico momento in cui la sua tessera conti davvero qualcosa? Che con la sua
iscrizione ed il suo voto possa contribuire realmente ad un nuovo progetto?
Non ci sfiora il pensiero che non
sia l’iscrizione (ossia un passaggio formale) a determinare il senso di appartenenza,
come alcuni sostengono? O che il grado e la forma di partecipazione non si
misurino nel numero di volantini che si danno, dalla frequenza con cui si entra
nella sede del circolo o nel numero di gazebo che si montano? Che il “partito”
pesante degli iscritti non sia più il sistema per rappresentare la società?
Non pensiamo che, forse, il fatto
che la gente si iscriva sotto congresso sia una segno di vitalità e di partecipazione
e si tesseri perché convinta che sia l’unico modo di avere voce in capito? Che
forse il fatto di fare l’"analisi del sangue” a coloro che chiedono di
iscriversi, misurando (arbitrariamente) il loro grado di convinzione e talvolta
respingendoli con motivazioni più o meno pretestuose, non sia il modo migliore
per fare crescere il partito non solo numericamente, ma anche politicamente?
Siamo certi di non usare un po’
di ipocrisia nel dare patenti, nel dividere iscritti “buoni” da quelli
“cattivi” sulla base di quanto partecipano alle attività, visto che normalmente
circa un 10% (esperienza personale) degli iscritti dei circoli partecipano alle
attività degli stessi? Di questo ci scandalizziamo solo sotto congresso?
E siamo infine certi che questo
modo di concepire il partito non sia quello che ha prodotto una classe dirigente
mediocre che ha causato una bruciante ed interminabile serie di sconfitte? Che
quanto accaduto sia un indicazione del fatto che il sistema delle tessere è
inadeguato e che la gente parteciperebbe più volentieri in altre forme? Non può
essere che il diritto di elettorato attivo vada aperto a tutti e la tessera
riservata per selezionare quello passivo?
La verità è che non vi è mai
stato, in questo partito, un forte impulso ad incentivare il tesseramento,
perché il nuovo iscritto è un potenziale pericolo per il mantenimento dello
“status quo”. C’è un termine per definire questo atteggiamento, che non
afferisce alla sfera della razionalità, ma a quella dell’emotività: paura!
Pochi ma buoni, essenza stessa
dell’autoreferenzialità.
I cosiddetti “Signori delle
Tessere” (a prescindere da che cosa si intenda esattamente con questa
espressione) esistono in quanto esistono le tessere e non sarà chiudendo il
tesseramento un mese prima od il giorno stesso del congresso a cambiare la situazione.
Ed allora, se i regolamenti
permettono di iscriversi fino al giorno stesso del congresso, se è vero che lo
Statuto del PD non solo permette, ma incoraggia gli iscritti ad aumentare il
numero di adesioni, se è vero che iscriversi è l’unico modo per potere
concorrere alla formazione dei gruppi dirigenti locali, non è forse non solo giusto
ma DOVERSO, che coloro che nel partito sostengono una mozione, una piattaforma,
una candidatura non compiano ogni sforzo per allargare la base del consenso su
quella proposta, al di fuori del cerchio ristretto del partito, per sostenere
un progetto politico (in qualunque modo questa espressione vada intesa)?
Quando ci sono le elezioni o le
primarie, ci si ripete alla nausea che dobbiamo “parlare con tutti quelli che
conosciamo”, rivolgerci alle nostre “reti di contatti” per convincerli a
votare. Perché in un congresso bisognerebbe agire differentemente?
Qual è allora la differenza fra quelli
che hanno votato ad ottobre e quelli che voteranno l’8 dicembre? Il solo fatto
di spendere 18 euro in meno?
Non ci sembra vagamente
artificioso, questo?
In una segreteria del mio
circolo, poco meno di sette mesi fa, l’allora tesoriere affermò che il fatto
che gli esponenti del circolo “portino un certo numero di nuovi iscritti” è
“sano” perché “allarga la base degli iscritti” ed un autorevole (opinabile)
membro di quella segreteria affermò che si chiama “proselitismo”. Questi
signori hanno forse cambiato idea?
Qualcuno lo chiama “cammellamento”,
io lo chiamo “consenso”, oppure, come sopra, “proselitismo” o ancora “capacità
di comunicazione e convincimento” ed è uno dei meccanismi fondamentali su cui
si deve basare la politica!
Proprio in questo senso, per
rivoluzionare l’idea stessa di partito, nel termini che ho cercato di
esplicitare, sostengo convintamente Matteo Renzi.
Eppure l’esito di questi
congressi è incontrovertibile. In provincia di Torino vince nettamente Fabrizio
Morri e sia su base provinciale che su base nazionale Matteo Renzi si afferma
nei congressi di circolo (ossia quelli dove votano solo gli iscritti, secondo
la mentalità di qualcuno, solo i veri militanti).
Ed allora, forse, si capisce perché
alcuni cercando di buttarla nello “schifo” più totale. Sentono che il loro
mondo sta crollando, non riescono ad accettarlo e soprattutto non riescono ad
accettare di perdere le loro piccole e grandi quote di potere. Allora, cercano
di delegittimare i vincitori, di parlare di “golpe”, di allontanare il maggior
numero possibile di persone del voto del congresso nazionale (ma sembra che,
fino ad ora, non vi siano riusciti), con accuse più o meno velate basate su
argomenti inesistenti.
Ora, io per primo sono
consapevole che lo svolgimento di questi congressi non sia stato del tutto
lineare di episodi di malcostume e forzature siano avvenuti (tipo la negazione
del diritto di voto ad alcuni che ne disponevano), alcune tali da avere
pregiudicato l’esisto di alcuni dei congressi. Credo che questi episodi vadano
contrastati e che si debba riparare al danno fatto.
Discorso totalmente diverso quello
concernente il voto subordinato ad interessi di tipo economico o vincolato a
rapporti di lavoro. Laddove l’iscrizione sia stata ottenuta in base a
meccanismi di tale tipo, occorre agire con durezza, ma, per come la vedo io,
queste sono questioni che attengono alla sfera giudiziaria più che a quella
politica o del buon costume. Inoltre forse bisognerebbe porre maggiore
attenzione alle persone che si propongono per ruoli dirigenziali (vedasi caso
Iatì).
C’è però una
importante lezione che, a mio parere, da questo congresso dovremmo trarre.
L’articolo 49 della nostra Costituzione individua chiaramente nei partiti il
mezzo con cui i cittadini possono “concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale”. Eppure, a differenza di quanto accade in
importanti democrazie Europee, come la Spagna, la Francia e la Germania, in
Italia manca una Legge che dia attuazione a tale articolo, regolamentando,
all’insegna della trasparenza, la vita interna dei partiti. Il nostro congresso
ha mostrato tutta la debolezza di un sistema di autoregolamentazione dei
partiti, in cui i soggetti che dovrebbero vigilare sul buon esito degli stessi
sono composti da quelle stesse componenti che all’interno dei congressi
concorrono. A mio parere i problemi che si sono evidenziati sono precisamente
causati dalla mancanza di una legislazione che garantisca un’autorità terza che
possa vigilare sul buon esito dei congressi. Credo che una Legge sulla
Regolamentazione della vita interna dei partiti, non sia più rinviabile…
Non posso che
concludere congratulandomi col nuovo segretario provinciale, con il nuovo
presidente e la nuova segreteria ed augurando a tutti loro un buon lavoro.
R. C. G. Tassone
Membro dell’Assemblea Provinciale del PD di Torino
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